Una comunità che conta 12.000 persone di tantissime nazionalità diverse. Una religione che è la seconda per importanza nel Granducato. Focus sui musulmani di Lussemburgo, molti dei quali parlano italiano.

muslim

Arrivati negli Anni ‘70 in seguito agli accordi commerciali che il governo lussemburghese fece con la Yugoslavia di Tito (Bosnia-Herzegovina, Serbia-Montenegro, Croazia, Macedonia, Montenegro, Kosovo) per coprire il bisogno di manodopera del mercato locale – come spiega bene Lucie Waltzer, nella sua tesi di dottorato sulla similitudine e le differenze identitarie dei cittadini della ex Yugoslavia, pubblicata nel 2012 – in seguito alla guerra dei Balcani una nuova ondata raggiunse il Granducato. I cittadini in fuga dai Balcani, portatori di diverse religioni (cattolici, ortodossi, islamici) hanno contribuito a rendere il paesaggio religioso lussemburghese (dominato dai cattolici) estremamente pluralista ed oggi stesso costituiscono il 5° gruppo di stranieri dopo i Portoghesi, i Francesi, gli Italiani e i Belgi (Thill-Ditsch, 2010).

Tutto il Paese conta nove tra moschee e centri culturali ma i musulmani aspettano di firmare la convenzione con lo Stato da circa 10 anni. Nonostante, infatti, i rappresentanti della comunità prendano parte al Te Deum del 23 giugno (la tradizionale celebrazione religiosa in occasione della festa nazionale, ndr) ne il vecchio governo di Junker, ne il nuovo governo di Bettel hanno firmato la convenzione con i musulmani e l’argomento ha superato il campo prettamente politico ed è entrato nel dibattito pubblico da quando il CET, Centre pour l’Egalitè de Traitement ne ha raccomandato al Governo il riconoscimento, allo stesso modo in cui gli altri culti sono stati convenzionati in questi anni.

Claudio Cori, italiano e musulmano convertito, presidente del Centre culturel islamique di Mamer ci spiega : «Dopo aver eletto 12 membri della Shoura che a loro volta hanno eletto il Presidente, che è l’interlocutore principale rispetto al Governo, nessuno ci ha chiamato per firmare nessuna convenzione. Dunque, tra lo Stato lussemburghese e i musulmani non c’è nessuna convenzione e questo ci discrimina rispetto agli altri culti esistenti (cattolici, ebrei, protestanti, ortodossi e anglicani, ndr)». In particolare Cori, punta l’attenzione sulla mancanza di cimiteri per i musulmani che, secondo il Corano, devono essere perpendicolari alla Mecca : « Solo nei cimiteri di Merl nella capitale e quelli di Rood/Syre ed Esch/Alzette c’è uno spazio destinato alla sepoltura dei musulmani secondo i riti dell’Islam. Ma non basta. Molti dei nostri morti vengono riportati nei propri Paesi d’origine ».

Claudio fa parte di un gruppo di persone di varia nazionalità: pachistani, italiani, lussemburghesi, portoghesi, turchi convertitisi all’islam, di cui non si puòfare una stima numerica reale ma solo percepita. La sua famiglia proveniente dal Veneto e dall’Abruzzo, si trasferì in Lussemburgo per lavoro e Claudio ha vissuto, come molti figli di emigrati, tra due culture e più di due lingue. « Ho studiato al liceo classico e poi mi sono laureato a Strasburgo nella filiera ambientale – racconta – poi ho seguito un master a Nancy e ora lavoro nell sviluppo sostenibile. Da ragazzini studiavamo tanto perchè volevamo mostrare ai nostri compagni lussemburghesi che eravamo volenterosi. Vengo da una famiglia cattolica praticante e proprio all’Università ho avuto i primi contatti con i musulmani che erano miei colleghi di studio. La fortuna che ho avuto – ricorda Cori – è stata di aver incontrato persone che avevano capito il messaggio coranico e lo avevano interpretato  in maniera intelligente, dando a me la giusta curiosità per approfondire la religione, attraverso una ricerca intellettuale che mi accompagna tutto’oggi ». Una conversione avvenuta senza nessun tipo di pressione o manipolazione, ma che è stato un naturale percorso introspettivo e intellettuale. «Le differenze tra le religioni sono poche e c’è tanto in comune da condividere – conclude il presidente – bisogna lavorare sul comune, sui valori della tolleranza, della pace, della fraternità e del rispetto che sono alla base dell’umanità».

Piero F. Yassin ha alle spalle una storia come quella di molti italiani figli di emigranti. Mamma abruzzese e papà marchigiano, Piero frequenta le scuole nel Granducato e fa dello sport e della musica le sue passioni. Si costruisce una famiglia, lavora e segue la crescita dei figli. Nel 2011, dopo il divorzio, conosce un’altra donna e se ne innamora.  Lei è musulmana ed è la prima volta che Piero si confronta con un’altra religione. «Avevo l’impressione di vivere in un mondo di cristiani materialisti senza religione – dice Piero raccontando la sua conversione – e mi sentivo in un momento di cambiamento. La lettura dei precetti del Corano mi ha fatto ritrovare la pace e l’ottimismo. Non faccio nessuno sforzo ad aderire ai precetti e ho trovato nelle preghiere le risposte a tutte le domande che mi ponevo. Non l’ho fatto per lei, per la donna che è diventata mia moglie. Ho aperto gli occhi e ho accolto l’amore per Allah come una crescita personale».

L’italiano è parlato anche da alcune donne della comunità musulmana di Lussemburgo come Hassiba, la moglie di Clori, che anima il gruppo di donne musulmane e che mi spiega l’importanza della conoscenza reciproca. «Ultimamente – mi racconta durante il Porte ouverte alla moschea di Bonnevoie (lo scorso 20 giugno, ndr) – molte scuole statali ci chiamano per fare degli incontri con gli alunni. Sono momenti di grande impatto per gli scolari che possono chiarire ogni dubbio nei confronti della nostra religione, senza imbarazzo. Anche per noi è importante spiegare e raccontare come viviamo l’Islam in Lussemburgo».

In moschea incontriamo anche Celina e Salah O., lei polacca lui marocchino, dopo 10 anni vissuti in Italia, a Verona,  nel 2010 hanno deciso di trasferirsi nel Granducato : «Avevamo messo le nostre radici in Italia – racconta lei laureata in arte e pedagogia – per una serie di ragioni abbiamo preferito emigrare e abbiamo ricominciato in Lussemburgo, dove avevamo un’amica che venivamo a trovare d’estate. Quando mi sono convertita – dice ancora Celina –  ho conosciuto una religione che non era orribile come diceva la gente : la ricerca è stata personale e ho avuto libertà di scelta. Mi ha spinto la curiosità attraverso la quale si deve cercare la verità. Ma non è solo dalla religione che si capisce il nostro ruolo in questa vita ».

Tra i musulmani arrivati negli ultimi anni direttamente dall’Italia c’è pure Adil E. che dopo aver lavorato per tanti anni come fornaio in una ditta di Mantova racconta : «Prima di mettere piede nel Granducato sono stato a Bruxelles dove sono rimasto colpito dalla mia comunità d’origine. Ho visto quello che non avevo mai visto fino ad allora: persone della mia stessa origine che facevano i poliziotti, gli autisti di tram, bus, treni, gli impiegati al comune…….Per vedere le stesse cose in Italia forse dovranno passare forse ancora 50 anni. All’inzio sono venuto da solo, per poter procedere con la documentazione. Sono arrivato nell’ottobre del 2009 e dopo 3 mesi ho trovato un lavoro a tempo determinato per 2 anni.  La mia famiglia mi ha raggiunto nel gennaio 2010, poi ho cambiato ancora lavoro ed infine, dopo aver imparato il lussemburghese, sono diventato autista di bus di linea. Il mio percorso d’integrazione è stato facile perche sono una persona molto socievole. Ho 3 figli che si trovano bene qui e una brava moglie che si occupa di loro e di me tutto il tempo. Se non ci fosse lei sarei perduto ».

Maria Maryam P., è italiana d’origine lucana. Si è convertita all’Islam a metà degli Anni ’80 in seguito al matrimonio con un tunisino. Finito il matrimonio non è finita la sua conversione. « In casa eravamo cattolici ma io non ero praticante. La conversione  è stata per me una continua ricerca per saperne di più. La mia famiglia  –  ricorda – non ha opposto resistenza ma è rimasta scontenta del velo ». Maryam spiega che la legge di Allah indica alla donna di coprirsi i capelli, perchè la sua bellezza deve essere mostrata solo al marito, ai fratelli o ai figli. «Non ci si mostra per pudore» dice ancora « e il velo è una decisione che le donne prendono per se stesse, per non attirare l’attenzione». Il velo è, per la donna musulmana, è il simbolo pubblico della professione della religione ma anche un modo per proteggere il proprio onore. Quello integrale è stato recentemente vietato dal governo lussemburghese nelle scuole pubbliche perchè non permette di identificare la persona che lo porta. Maryam ricorda che esso attirava gli sguardi della gente anche su di lei e che all’inizio, soprattutto sul luogo di lavoro, ebbe qualche difficoltà ad indossarlo. Ma lei tenne duro. «Non ho dato occasione a nessuno di criticarmi, mi sono concquistata la fiducia dei datori di lavoro e dei miei colleghi piano piano. Oggi ho la possibilità di fare le 5 preghiere giornaliere anche sul luogo di lavoro ». Maryam è una donna indipendente ed emancipata : ha cresciuto due figlii da sola, ha una casa, ha un lavoro. Non frequenta molto la moschea ma segue i precetti e legge e studia il Corano. E’ un punto di riferimento per molte donne ed è l’esempio della donna musulmana, italiana, espatriata  del 21° secolo. Al di là degli stereotipi che spesso i media ci impongono o dell’immagine negativa dei musulmani che ci creiamo nelle nostre teste, oggi possiamo capire un po’ di più di questa religione anche parlandone e confrontandosi in italiano.

 

Paola Cairo

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